Il mio modo di lavorare in cantina è legato indissolubilmente alla storia della mia famiglia.
E’ quindi inevitabile che, nei vini che produco oggi, si possa gustare qualcosa che ci ricorda quei sapori antichi di cui si era appassionato il buon Ghiglione da Entracque.
Non fraintendermi però: non è possibile portare oggi in tavola gli stessi vini che si producevano 50 o 60 anni fa, quando i gusti, la ricerca per la qualità e il mercato erano molto diversi da come sono adesso.
Una Tradizione di Famiglia
Quando dico tradizionalista quindi, voglio dire che per ogni scelta, per ogni sfida che affronto in cantina come in vigna, devo misurarmi con quella che è la nostra tradizione, quella con la “t” minuscola: la tradizione della mia famiglia.
E in questa tradizione famigliare ho da sempre riposto una fiducia incondizionata, tanto che ho sempre scelto di non avvalermi di consulenti esterni per quanto riguarda la parte enologica (la cantina) e quella agronomica (le vigne).
La parte del nostro lavoro che è cambiata di meno sono sicuramente le attività in vigna, dove si praticano ancora le vecchie tecniche di impianto, potatura e legatura.
Ancora oggi non diamo diserbanti, e utilizziamo la tecnica del sovescio, che ci permette di tenere le vigne fertili e pulite dal punto di vista ambientale.
In cantina le cose sono cambiate un po’ di più: la tecnologia ci aiuta a prendere misure più precise, a fare meno lavoro manuale, e ci offre possibilità completamente nuove, come le vasche a temperatura controllata, che una volta non esistevano.
Ma sono sempre stato molto attento a scegliere con cautela le tecniche e tecnologie innovative di cui servirmi: non uso le nuove gelatine per chiarificare il mio vino (anzi, non faccio proprio nessuna chiarifica), così come non aggiungo lieviti per aiutare la fermentazione.