Tutto è iniziato qui, a Santa Lucia, in questa borgata di poche case, nei primi del ‘900, quando il Nonno Celso, il papà di mio papà, acquistò la cascina Cà Neuva e i terreni a essa legata.
Non sappiamo la data precisa, ma grazie ad una vecchia lettera ritrovata in soffitta, in cui Matteo Ghiglione di Entracque ordinava 20 brente probabilmente per la propria osteria, sappiamo che già nel 1916 nella nostra cascina si produceva il Dolcetto.
In quegli anni non si imbottigliava ancora, e il vino era venduto in brente, unità di misura pari a 49,29 litri, il cui nome deriva dalle gerle con cui venivano trasportati l’uva durante la vendemmia, e il vino una volta che era stato prodotto.
Una realtà contadina
Come in tutte le piccole realtà contadine della zona, l’uva e il vino rappresentavano una piccola parte della produzione agricola della cascina: mio nonno all’epoca coltivava cereali, frutta e ovviamente verdura, e in più aveva “le bestie”, come si dice qui da noi: allevava bestiame.
In quegli anni non esistevano le DOC e le DOCG, e il vino veniva consumato quasi come un alimento, una fonte di energia per il duro lavoro nei campi: in particolare qui si coltivava e vinificava solo il Dolcetto, l’uva “tradizionale” del contadino Langhetto.
Durante gli anni ‘50…
fu mio padre che, all’inizio degli anni ‘50, iniziò a limitare la produzione dei cereali e, dopo l’introduzione delle DOC nel 1963, ebbe la lungimiranza di iniziare a mettere il vino in bottiglia.
Contemporaneamente si impegnò in una lunga opera di reimpianto e ammodernamento delle vigne, arrivando infine a affiancare al Dolcetto una nuova varietà: la Barbera.
L’introduzione delle DOC e l’imbottigliamento avevano cambiato profondamente il modo in cui il vino si produceva e si vendeva: nel periodo in cui entrai stabilmente a lavorare in azienda la qualità del vino era stabilita dalla legge, e i primi clienti a cui si vendevano le bottiglie erano molto diversi da quelli che acquistavano le damigiane.
Ho avuto la fortuna di vedere come lavorava il “vecchio” mondo del vino, quello delle damigiane, del vino come alimento, del “più ce n’è meglio è”, e il mondo del vino “nuovo” che stava nascendo in quegli anni.
Anni di innovazioni tecniche, e successivamente di ri-scoperta della tradizione. Anni di turbolenze ideologiche.
Oggi…
Oggi, posso dire che la transizione tra il mondo “vecchio” e quello “nuovo” è completata, almeno qui da noi.
Negli anni in cui l’azienda è stata nelle mie mani abbiamo portato a termine la conversione, traghettandola definitivamente a una monocoltura viticola, e concentrato tutte le nostre energie su un unico obiettivo: produrre vino di alta qualità.
Abbiamo imparato ad accogliere l’innovazione tecnologica, che ci aiuta a lavorare meglio, ma al tempo stesso le nostre radici ci hanno aiutato a tenere i piedi ben saldi nell nostro passato e alla nostra tradizione
Ringrazio ancora di avere avuto un maestro come mio padre
che ha saputo insegnarmi non solo come si lavora in vigna o in cantina, ma anche il rispetto per una terra estremamente generosa…
E ringrazio di avere avuto un nonno come Celso, che non solo ha insegnato a mio padre, ma che ha saputo mettere in moto questa grande avventura.